antonella di martino

scrittrice, freelance writer



un ponte

L'audioracconto in formato MP3 - parole di Roberto Piumini, musica di Stefano Bollani

C’era una volta un seme di luna, che per sbaglio cadde sulla terra.
Il seme riuscì a germogliare, e in tre secoli diventò un albero robusto. Il nostro albero si comportava come tutti i suoi simili: prendeva il sole, succhiava l’acqua con le radici, produceva foglie e rami. Una notte di pioggia, senza luna e senza stelle, decise di fiorire. Nel giro di poche ore, sui suoi rami sbocciarono sessantatre piccole lune.
La notte successiva non c’era neanche una nuvola. La luna del cielo si affacciò, per controllare se c’era qualche novità interessante sulla terra. Quando vide l’albero tutto fiorito di piccole lune, si spaventò a tal punto che per poco non inghiottì un asteroide.
Le piccole lune sull’albero erano giovani spicchi. Per diventare lune piene, avrebbero dovuto maturare, ma non ne avevano nessuna voglia. Quando videro la luna del cielo, protestarono e piagnucolarono con lei.
«Che cosa maturiamo a fare qui sulla terra, incatenate a un albero? Non siamo mele né arance. Non abbiamo semi né bucce. Non vogliamo essere raccolte e nemmeno mangiate. Siamo lune, e il cielo è il nostro posto. Per favore, aiutaci tu!»
La luna del cielo era molto addolorata per la triste situazione delle piccole lune, ma non sapeva che cosa fare.
Pensò di spedirle tutte dalle parti di Saturno, ma in tutta la galassia non esisteva un sistema postale abbastanza efficiente.
Pensò di prenotare un razzo per trasportarle tutte in cielo, ma in tutta la terra non c’era un razzo abbastanza grande.
Pensò e pensò, ma da tutti i suoi pensieri non uscì fuori nulla di buono.
Intanto, sull’albero rimanevano solamente cinquantasei piccole lune: le altre sette si erano lasciate cadere sul prato, raggrinzite come i frutti che si seccano prima della maturazione. La tristezza le aveva uccise.
La terra, purtroppo, non è il posto adatto per far crescere bene le lune.
Le lune per natura detestano le radici, hanno poca simpatia per la forza di gravità, non sopportano l’inquinamento. Le lune non possono volare, non possono correre, non possono camminare. Non possono nemmeno rotolare, perché nessuno si azzarderebbe a prenderle a calci.
Le piccole lune fiorite sull’albero facevano una vita troppo inutile. Non avevano mani né braccia, non avevano neanche una pancia da riempire. Avevano il naso e la bocca, ma se respiravano troppo si sentivano male per colpa dell’inquinamento.
Se le lune dell’albero fossero state saporite come i frutti, sarebbero maturate volentieri. Purtroppo, le lune non sono mai state commestibili.
Anni prima, un astronauta stravagante aveva assaggiato un pezzo di luna: era diventato talmente livido che sembrava una lampada al neon. L’avevano portato d’urgenza al pronto soccorso sulla terra, dove gli avevano praticato una lavanda gastrica. Si salvò per miracolo.
Insomma, quelle lune infelici erano tutte destinate a cadere dall’albero senza maturare.
La situazione delle piccole lune peggiorava di notte in notte.
Finalmente alla luna del cielo venne un’idea: far costruire un ponte tra l’albero e il cielo. L’idea non era malvagia. Per realizzarla bastava trovare l’impresa di costruzioni adatta. Fu così che la luna del cielo pubblicò un annuncio sul bollettino intergalattico:
Cercasi impresa di costruzioni in grado di costruire un solido ponte dalla terra allo spazio, in modo da consentire a cinquantasei piccole lune di andare in orbita senza cadere con il sedere per terra
Rileggendo l’annuncio si ricordò che le lune non avevano il fondoschiena, e così cancellò le parole con il sedere per terra.
Dopo qualche giorno, tre padroni di tre imprese terrestri si presentarono alla luna del cielo.
I l primo padrone della prima impresa si chiamava Cesare, e sembrava un tipo molto sicuro di sé.
«Ci penserò io a costruire il ponte! Voglio tonnellate e tonnellate di cemento, una squadra di operai specializzati e un bel gruzzolo di soldi».
La luna procurò a Cesare tutto ciò che aveva preteso, e lo congedò.
Poi ascoltò il secondo padrone, che si chiamava Rodolfo e sembrava un tipo timido ma con molta fantasia.
«Ci penserò io a realizzare il ponte! Non ho bisogno di cemento, non ho bisogno di operai obbedienti, mi servono solamente i soldi. Li infilerò sotto il cuscino, mi metterò a sognare, e il ponte si erigerà da solo».
La luna sospirò dubbiosa, ma si disse che valeva la pena di provare. Diede a Rodolfo i soldi che gli servivano e lo congedò.
Poi ascoltò il terzo padrone, che si chiamava Vincenzo e sembrava un tipo molto strano.
« Ci penserò io al ponte! Non mi servono soldi. Mi bastano nove pennelli, una tela grande, e una scatola di colori a olio. Inoltre, vorrei un pizzico di polvere di luna ».
La luna lo guardò sbalordita, ma gli diede i pennelli, la tela, e i colori a olio. Gli strizzò l’occhio per incoraggiarlo, e congedò anche lui.
Intanto, Cesare aveva già messo all’opera i suoi operai.
Gli operai sudarono e lavorarono, sollevando un gran polverone. Un enorme ponte grigio si alzò nel cielo fino a toccare la cima più alta del mondo, si alzò ancora fino a bucare dieci strati di nuvole, ma infine crollò sollevando un altro gran polverone.
Cesare fece spallucce, pagò gli operai, prese i soldi che gli erano avanzati, e se ne andò in un’isola dei Carabi a godersi il caldo e le palme.
Rodolfo mise i soldi sotto il cuscino e cominciò a sognare.
Sognò un ponte fatto d’oro e tempestato di diamanti, che bucava tutte le nuvole e arrivava oltre la luna. Sognò le piccole lune, che attraversavano il ponte saltellando come palloni di gomma e si sistemavano in orbita attorno alla terra. Sognò che tutti quanti erano felici e contenti. Quando si svegliò, del ponte non c’era traccia e le lune erano ancora sull’albero.
Rodolfo fece spallucce, buttò via il cuscino, prese i soldi, e se ne andò in un’isola del Polo Sud a godersi il freddo e i pinguini.
Vincenzo sistemò la tela di fronte all’albero delle lune. Mescolò i colori con la polvere di luna e cominciò a dipingere. Dipinse le piccole lune dell’albero, la luna del cielo, un enorme ponte colorato con tutti i colori dell’arcobaleno.
Le piccole lune dimenticarono i loro guai osservando Vincenzo che continuava a lavorare, infaticabile.
Il sole lo guardò lavorare per delle ore, ma infine si stancò: per farsi bello diede una pennellata di rosso alle nuvole prima di andare a dormire.
Calò la notte, e la luna del cielo sbucò fuori per spiare Vincenzo al lavoro. All’alba tutte le lune si erano addormentate, e anche Vincenzo riposava accanto alla sua tela.
La sera seguente, la luna si alzò nel cielo, e vide che le piccole lune non erano più sull’albero. Anche Vincenzo era sparito.
La tela per fortuna era rimasta lì, accanto all’albero.
La luna del cielo girò, finché non riuscì a vedere bene l’intero dipinto. Il quadro era cambiato: la luna ammirò l’albero senza fiori e senza lune, il ponte che metteva in mostra tutti i colori dell’arcobaleno, le cinquantasei piccole lune che brillavano nel cielo insieme alle stelle.
Vicino alle lune c’era anche Vincenzo, sospeso in orbita, sorridente. Si era portato dietro colori e pennelli, e dipingeva ponti colorati sulla via lattea.

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