antonella di martino

scrittrice, freelance writer



il genio dello sciacquone



«Insomma, Lucrezia, si può sapere che cosa stai facendo lì dentro? Sei caduta nella tazza del gabinetto e non riesci più ad uscire?»
«Non ho ancora finito!»
Lucrezia era minuta come un topolino. Aveva le guance paffute spruzzate di lentiggini, il naso corto e i capelli castani lunghi fino in fondo alla schiena.
A dire la verità, non aveva niente da fare, chiusa a chiave dentro il bagno. Per passare il tempo, si divertiva a strappare striscioline di carta igienica. Lo faceva apposta, a restare tanto tempo chiusa là dentro. Voleva fare aspettare la mamma, così come la mamma faceva aspettare Lucrezia.
La mamma era così dispettosa che le le faceva i dispetti ogni giorno, anche la domenica, quando passava tanto tempo a pulire la casa. Dal lunedì al venerdì usciva al mattino per andare a lavorare, e tornava quando voleva. Se Lucrezia le chiedeva perché doveva passare tanto tempo ad aspettarla, la mamma le rispondeva che doveva lavorare, che non poteva restare sempre a casa con lei.
Lavorare? Bella scusa!
C'era di peggio. Ogni volta che Lucrezia aveva fame, doveva aspettare che la mamma preparasse da mangiare. Ed era così lenta!
Se Lucrezia reclamava la cena con la forchetta in mano, affamata come un orco a dieta, la mamma le rispondeva: «Un po' di pazienza, per favore!»
Pazienza? La fame era un mostro permaloso che le attorcigliava le budella e le faceva friggere lo stomaco! E intanto, mentre la fame continuava a punzecchiare, la mamma si divertiva a far saltellare mestoli e padelle.
Dopo circa mezz'ora, Lucrezia si stancò di strappare e sminuzzare striscioline di carta. Le prese tutte, le buttò nella tazza e tirò lo sciacquone, che fece il solito rumoraccio, metà cascata d'acqua, metà pernacchia. All'improvviso, si fermò e tossì.
Lucrezia, stupita, vide che dalla tazza del water uscivano fuori delle grandi bolle, simili a quelle di sapone, colorate come i palloncini del Luna Park. Si spaventò e tentò di nascondersi dietro la cesta della biancheria sporca, ma la cesta era troppo piccola.
Le bolle continuarono a uscire dalla tazza, a crescere, a moltiplicarsi, a bollire. Bollendo bollendo, cambiavano colore: quelle verdi diventavano rosse, quelle gialle diventavano blu, poi ricominciavano da capo.
Il bagno si era quasi riempito di bolle colorate, quando apparve un omaccione panciuto, colorato come le bolle.
Indossava pantaloni larghi come zampe di elefante, a strisce rosse e blu. La camicia era rossa, con un colletto giallo a fisarmonica. Gli occhi verdi erano tondi come biglie. Il naso sembrava una lunga melanzana viola. In testa, portava un enorme turbante di carta igienica.
Lucrezia rimase a bocca aperta. Nemmeno in televisione aveva mai visto un mostro scombinato come quello. Era un po' buffo, ma anche spaventoso. Ed era molto, molto brutto.
Lucrezia si spaventò tanto, che riuscì a infilarsi tutta intera dentro il cesto della biancheria sporca.
L'omaccione aprì il cesto e la chiamò con un vocione rauco.
«Lucrezia, esci di lì! Non devi aver paura di me. Sono qui per aiutarti!»
«Come fai a conoscere il mio nome?» gli domandò Lucrezia, mentre usciva dalla cesta con un paio di calzini puzzolenti in testa.
«Io conosco tante cose di te. Sono l'unico, splendido, fantastico Genio dello sciacquone» esclamò, facendo ribollire il tappeto di bolle coloratissime su cui stava seduto.
«Sei un vero Genio? Devi nasconderti proprio dentro i tubi del gabinetto, dove circola l'acqua sporca?»
Gli occhi verdi s'incupirono e sprizzarono scintille a forma di piccole bolle, mentre il naso viola a melanzana tremolava. Il Genio sembrava offeso e inviperito.
«Io sono il Genio dello sciacquone e vivo nei tubi misteriosi che collegano i bagni e le fogne. Ogni tanto, quando trovo uno sciacquone che mi piace, volo fuori dai water sul mio tappeto di bolle. L'hai visto, no?»
Lucrezia, intimidita, fece cenno di sì con la testa.
«Ho tanti poteri magici. Li uso per esaudire i desideri cattivi dei bambini che hanno la fortuna di incontrarmi nel bagno. Ti conviene portarmi rispetto!»
«Rispetto...rispetto... Che noia! Sembri la maestra, quella cicciona noiosa come una pulce gigante» borbottò Lucrezia.
«Problemi con la maestra? Li risolviamo in un lampo!»
Prima che Lucrezia avesse il tempo di aprire bocca per protestare o ringraziare, il Genio la prese per mano e la fece accomodare sopra il tappeto di bolle.
Le bolle ribollirono e in pochi istanti Lucrezia e il Genio diventarono piccoli come granelli di luce, volarono insieme dentro il scarico del lavandino e attraversarono velocissimi qualche chilometro di tubi dell'acquedotto comunale.
Protetti da una nuvola di bolle, seguirono le forme strane dei tubi sotto terra, saettarono come proiettili, girarono come trottole, caddero e risalirono sulle montagne russe che si nascondevano nelle fogne.
A Lucrezia girava la testa. Per fortuna, viaggiavano talmente rapidi che il cattivo odore non si sentiva.
Uscirono dal rubinetto della vasca da bagno della maestra di Lucrezia, che si stava asciugando i capelli davanti allo specchio. Era tonda e allegra come al solito. Cantava allegra e stonata, avvolta in una superschifosissima vestaglia a fiori.
«Lucrezia, non si dice superschifosissima!» Così urlava la maestra, quando Lucrezia pronunciava le parole che le piacevano davvero. Ora, però, Lucrezia l'aveva soltanto pensata, la parola "superschifosissima".
La maestra non sentiva i pensieri di Lucrezia, questo era normale. Ora, però, non riusciva nemmeno a vederla, anche se si trovava davanti a lei.
«No, la maestra non ti vede e non legge i tuoi pensieri. Io, invece, ti vedo benissimo e posso sentire ciò che dici e ciò che pensi.»
Lucrezia rise forte.
«Se hai ascoltato i miei pensieri, sai già che cosa devi fare a questa superchifosissima maestra!»
«Hai fretta di realizzare il tuo desiderio cattivo, eh? Non preoccuparti, il tuo Genio lo farà presto e bene, anzi prestissimo e benissimo. Provvedo subito a chiamare il mio collaboratore. Mostro Oreste, ti ordino di venire qua!»
Prima si udì uno strano gorgoglìo uscire dalla vasca da bagno della maestra, poi dal tubo di scarico uscirono due orecchie pelose, subito dopo due occhietti rossi, infine un paio di fauci giganti, dai denti lunghi come zanne di rinoceronte.
Era il mostro Oreste, una specie di incrocio tra un drago, un bruco e un peluche.
Vedendolo, la maestra strabuzzò gli occhi, si morse la lingua e tentò di gridare.
La poveretta, che in classe alzava spesso la voce, non riuscì a emettere nemmeno un bisbiglio. In un batter d'occhio, il mostro le afferrò la testa tra i denti, la risucchiò come uno spaghetto e la inghiottì senza nemmeno masticarla.
«Pesante come merenda» brontolò il grosso animale peloso, mentre si toglieva i capelli bagnati della maestra dai dentoni enormi, usando un grosso stuzzicadenti.
«Ti consiglio un digestivo» suggerì il Genio.
«Prenderò un flacone di bagnoschiuma. Grazie per l'invito, Vercingetorige. Ciao, ci vediamo!»
Il drago peloso si restrinse tutto e scomparì nel buco della vasca da bagno.
Lucrezia ridacchiò. «Vercingetorige è il tuo vero nome?» domandò al Genio.
Il Genio sbuffò qualche piccola bolla dal naso. «Io sono il Genio dello sciacquone, e basta. Chiaro? Hai un altro desiderio cattivo da esaudire?» rispose.
«Sì. Ce l'ho ed è molto, molto cattivo!»

Qualche giorno dopo, Lucrezia si chiuse di nuovo in bagno. Strappò alcune striscioline di carta igienica, le gettò nella tazza e tirò lo sciacquone, come la volta prima. Bolle su bolle uscirono e ribollirono, poi arrivò il Genio, cioè Vercingetorige.
«Perché mi hai chiamato? Non ho esaudito tutti i tuoi desideri cattivi? Non volevi che tua mamma fosse licenziata, per poter stare sempre con lei?»
«Sì, accidenti! La mamma sta sempre con me, e non smette mai di piangere. Le dispiace di non andare più a lavorare. Io cerco di consolarla, ma non ci riesco. Il peggio è che con il solo stipendio del papà ci rimangono pochi soldi. Niente più vacanze, niente più pizze!»
«Era per questo che la mamma andava a lavorare. Te l'aveva detto, no?»
«Sì, ma non potevo crederci. Io mangiavo le pizze, non contavo mica i soldi. Come se non bastasse, al posto della maestra cicciona ne hanno mandata una che sembra un manico di scopa vestito alla moda. È simpatica come il vomito, per forza è così magra!»
«Sei tu che hai voluto far sbranare la maestra cicciona da Oreste!»
«Hai ragione, è tutta colpa mia. La maestra cicciona strillava ogni tanto, ma era buona. Io invece sono una bambina cattiva, superschifosissima, un vero mostro peggio di Oreste.»
«No, sei solo una bambina troppo impaziente. Ma si può rimediare, sono o non sono un Genio? Adesso facciamo un passo indietro nel tempo, e le cose torneranno com'erano prima. Ci riprendiamo la maestra cicciona, e la mamma torna al lavoro. Che ne dici?»
«Sì, ti prego... Voglio che tutto ritorni uguale identico a prima!»
«Volentieri!»
Il Genio schioccò pollice e indice. Tutto svanì in un vortice di bolle.

Lucrezia si ritrovò chiusa in bagno. La mamma stava bussando alla porta:
«Insomma, Lucrezia, si può sapere che cosa stai facendo lì dentro? Sei caduta nella tazza del gabinetto e non riesci più ad uscire?»
Era tornato tutto come prima, come aveva promesso il Genio, cioè Vercingetorige. Lucrezia si sentiva felice come in una giornata estiva piena di gelati e di ombrelloni, o un Natale pieno di regali e di panettoni.
Non vedeva l'ora di rivedere la maestra cicciona e di mangiare una pizza gigante. E la mamma avrebbe smesso di piangere! Saltò di gioia.
E il Genio dello sciacquone? Se l'era sognato?
No, non era stato un sogno. Il turbante di carta igienica era rimasto sopra il cestino della biancheria sporca. Quel Genio molto buffo e poco spaventoso se l'era dimenticato.

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