Autore: Antonella Di Martino - http://www.antonelladimartino.it Stellaspina Una notte senza luna, un Filosofo dalla lunga barba guardava il cielo col cannocchiale dal terrazzo di casa. Era di buon umore perché aveva appena mangiato un gran dolce di cioccolato. Le rane dello stagno vicino erano silenziose. Tutto era tranquillo, anche il vento dormiva. In mezzo al silenzio vide una cometa, e la trovò molto bella. Portava sulla testa una lunga scia cangiante che era la sua chioma, e gli faceva l'occhiolino con le pupille stellanti. - Ciao, stella cometa, io sono il Filosofo. Tu come ti chiami? - Ciao, Filosofo. L'astronomo che mi ha scoperta mi ha dato il suo nome, che non mi piace per niente. Vuoi chiamarmi Stellaspina? - Stellaspina piace anche a me. Cosa mi racconti del tuo cielo e della tua storia? Fu così che iniziò l'amicizia di Stellaspina e del Filosofo dalla lunga barba. Lui, grazie al suo cannocchiale, riusciva a vederla abbastanza bene. Oltre a vederla, riusciva a sentirne la voce. Le comete non hanno l’abitudine di parlare con noi. Fanno qualche rarissima eccezione, quando prendono in simpatia qualcuno. A Stellaspina il Filosofo era piaciuto moltissimo, fin dal primo istante. Riusciva a sentirlo, ma non a vederlo. Non poteva usare né cannocchiali né telescopi, perchè era troppo luminosa. Riusciva appena a scorgere la sagoma scura della Terra, non poteva sperare di distinguere la barba del Filosofo. In compenso lo immaginava, piccolo e colorato, nella sua tana. Riusciva anche, col suo fiuto stellare, ad annusare i profumi paradisiaci che ne uscivano. Erano i profumi dei dolci fatti in casa dalla tata del Filosofo, squisitezze degne di un re. Stellaspina e il Filosofo diventarono molto amici. All'inizio, era il Filosofo a porre domande. Stellaspina rispondeva e raccontava. Raccontava dei pianeti, che girano come trottole pigre intorno al sole. Raccontava dei loro satelliti, che a loro volta girano come trottole intorno ai loro pianeti. E ancora, intorno ai satelliti, ce n’erano altri più piccoli che giravano intorno… Raccontava che la Luna non era satellite della Terra, ma il suo pianeta fratello, quasi gemello. La Luna, infatti, è appena più piccola della Terra e non gira come una trottola, ma mostra sempre la stessa faccia. Insieme girano intorno al Sole come due fratelli che si tengono per mano. Insieme raccolgono la luce che il Sole regala loro, e la riflettono su chi ha voglia di ammirarle. Terra e Luna sono molto vanitose. Stellaspina raccontava poi del Firmamento, o Cielo, o Universo, insomma di quello lì che si dà tante arie perché contiene tutto, ma proprio tutto. - Il Firmamento è un grosso animale pigro, lento e contento. L'Universo si stiracchia lentamente da mattino a sera, anno dopo anno, millennio dopo millennio, e pian piano abbraccia tutte le sue galassie, stelline, stellone e sistemi solari. Cova i suoi astri così come una grassa gallina cova le sue uova. Lui rimane sempre fermo, mentre noi siamo sempre in movimento. Anche tu, Filosofo, sicuramente ti muovi, laggiù nella tua tana che non riesco a vedere... Riesco a immaginarti, però. La mia immaginazione segue i tuoi racconti. Ti alzi al mattino per fare un’enorme colazione, a base di leccornie della Tata. Dopo fai la tua passeggiata mattutina. Dopo la passeggiata passi il resto del giorno sui tuoi libri, libroni, carte, cartoni e quaderni. A mezzogiorno sei talmente immerso nelle tue meditazioni da scordarti del tuo stomaco, che pure urla e protesta. A cena invece mangi come un branco di lupi. Non riesco a vederti, ma sento il profumo di quello che mangi. Soprattutto dolci: frutta candita e sciroppata, pan di Spagna e panna montata. Dopo aver divorato la cena vai a dormire. La mattina ti alzi e ricomincia tutto da capo: colazione e passeggiata e libri e cena e lupo. Giri intorno a te stesso, così come il tuo pianeta gira intorno a se stesso. Anche noi stelle giriamo sempre in tondo. Le più piccole girano intorno alle più grandi, i pianeti intorno alle stelle. Noi comete invece facciamo una danza più lunga e più complicata, ma sempre intorno a un sole... A forza di ascoltare Stellaspina parlare di astri che giravano e giravano in tondo, al Filosofo cominciò a girare la testa. All'inizio pensò che si trattasse di vertigini. Ma dopo qualche giorno, arrivò a capire. Gli stava capitando qualcosa di strano, di terribile, di assurdo, di meraviglioso. Qualcosa di… Tanto per cominciare, nulla di tutto quel che l'aveva interessato fino ad allora l'interessava ancora. I libri giacevano annoiati e increduli sui loro scaffali. Soprattutto Platone, letto, riletto e commentato da secoli da tutti i filosofi del mondo, si sentiva molto trascurato. I dotti trattati che il Filosofo stava scrivendo giacevano anche loro. Il Filosofo di notte sognava le sue pagine bianche e le sue pagine scritte che gli gridavano di lasciarlo in pace. Erano sogni al rovescio: in realtà era lui a non aver voglia di parole scritte. Povero Filosofo! Passava le sue giornate a passeggiare nella palude vicino a casa sua, ma neanche le passeggiate gli piacevano granché. Sentiva le rane che gracidavano e si chiedeva che diavolo avessero da gracidare tanto. Vedeva gli iris gialli ai bordi del fango, e si chiedeva perché quei fiori crescessero in posti così cupi. Ammirava le ninfee, e le trovava odiose. Forse perché avevano una forma che ricordava quella delle stelle. Ma non erano stelle, erano solo degli inutili vegetali. Grag, grag! Il filosofo faceva il verso alle rane, ma le rane non se ne curavano affatto. Chiedeva sempre alla Tata di preparargli i suoi dolci preferiti. La Tata, una donna paziente dalla pelle scura come il cioccolato e i capelli bianchi come la panna, era un’artista nell’arte pasticcera. Accudiva il Filosofo da sempre e conosceva a memoria i suoi gusti. Le piaceva preparare per lui enormi crostate di fragole e banane, pasticcini alla crema di limone, e l'enorme torta di cioccolato farcita di cioccolato che a lui piaceva tanto. Ma quando, arrivata la sera, la tata gli presentava quelle opere d’arte, il Filosofo pensava soltanto al cannocchiale, al cielo stellato, alla sua Stellaspina. Stellaspina si presentava puntuale ogni sera all’appuntamento dietro le lenti del cannocchiale. Avrebbe voluto andare a trovarle il suo Filosofo, per guardarlo da vicino e per abbracciarlo, ma non sapeva come fare. Il Firmamento non era una prigione, quindi non poteva evadere. Infine la tata, stufa di veder sprecate le sue torte, per protestare spiaccicò un enorme budino alla mandorla sul faccione attonito del Filosofo. Fu allora che il Filosofo, togliendosi la crema dalla faccia, colse la verità. Confessò alla Tata di essere innamorato, perdutamente, infinitamente, stupidamente, di Stellaspina. E non poteva fare niente, assolutamente niente, per rimediare. La Tata era una vecchia donna intelligente e molto pratica. Per non buttare nella spazzatura tutti i dolci meravigliosi che il Filosofo le chiedeva e poi non riusciva a mangiare, decise di propinarli a dei vecchi amici di famiglia, il Profeta e il Poeta. Il Filosofo detestava profondamente sia l'uno che l'altro, ma a mezzogiorno non c'era mai, neanche quando non era istupidito dall'amore. Così, una domenica, la Tata decise di invitarli a pranzo senza chiedere l’opinione del filosofo. Il Poeta e il Profeta sapevano di esser stati invitati al posto del bidone della spazzatura, ma se ne infischiavano. I dolci della Tata avevano una fama e un profumo che superavano di gran lunga i confini della casa del filosofo e della palude di rane. Arrivò il giorno della resa dei dolci. Gli invitati arrivarono puntualissimi. La Tata iniziò con un tiramisù talmente goloso da risvegliare un cimitero. Il Poeta, piccolo biondino roseo e rotondo, vorace e giocondo, fece fuori la sua razione in due poderosi bocconi. Il Profeta era secco e lungo come un’acciuga affumicata con barbetta grigia e cappellino nero. Mangiò la sua metà lento lento, zitto zitto, musone musone, in punta di forchetta, con il naso arricciato e una smorfia sussiegosa pubblicata in faccia. Ma quando il Poeta tentò di portargli via un pezzetto della sua razione di dolce… Zac! Il Profeta, rapido come un fulmine, gli infilzò la manina rotonda e ladra con la forchetta, infilando fino in fondo tutti i dentini affilati. L'ululato di dolore del Poeta scosse le acque melmose e immobili della palude. La Tata gli mise un cerotto, gli asciugò le lacrime e lo costrinse a fare la pace con il Profeta. Approfittò dell’occasione per raccontare ai due l'assurda storia d'amore del Filosofo. Il Poeta Tondo si commosse fino alle lacrime, anche perché aveva già pianto molto per la forchettata. Annunciò ai presenti che l'amore del Filosofo per Stellaspina era assurdo, impossibile, cretino...cioè bellissimo. Salì sulla sedia per sembrare più alto e importante. Puntò il dito a salsicciotto verso il cielo, e inventò lì per lì una filastrocca. Stella cometa, lucida e quieta, goccia di brina, stacca la spina! Se sei vicina, scendi la china, senti la rana, scova la tana. Vieni stasera, scappa leggera dal firmamento, fesso contento. Portati il vento, pensa soltanto a queste mura, all’avventura, al dolce pazzo, ben cucinato, rincitrullito, innamorato. Vieni stasera, luce chimera, del firmamento, umile lento. Portati il vento, pensa soltanto al pan di sogni caramellato. Stella cometa, ciglia di seta, cosa proibita, spina fiorita apri le dita, luce soffiata! Senti la rana, scova la tana. La Tata ascoltò senza dir niente. Era molto portata per la pasticceria, non per la poesia. Capì però che quelle strane parole potevano incantare una cometa. Che bella idea! Per guarire il Filosofo ci voleva Stellaspina. Per attirare Stellaspina sulla terra, ci volevano i versi del Poeta e il profumo dei dolci. Poesia e Pasticceria unite insieme: più forti di quattro eserciti. All’improvviso il Profeta si alzò in piedi, buttò giù il Poeta dalla sedia, prese il suo posto, aprì la bocca e diede fiato alle trombe: “Ascoltatemi, stolti! Prevedo guai! Guai al Filosofo! Guai a voi! Guai a tutti! L’amore, nei migliori dei casi, è una perdita di tempo e d’intelletto. L’amore per una cometa è molto peggio: è idiozia, idiozia pericolosa. Le comete sono un castigo divino, uno tra i peggiori! Sono una iattura, sono… La Tata e il Poeta Tondo rimasero per un attimo sbalorditi, a bocca spalancata. Poi si ripresero e risposero alle invettive del Profeta con due forti pernacchie. Le pernacchie non smossero di un millimetro l'arcigna acciuga. - Sì, sì, bravi, spernacchiate pure. Voi spernacchiate per ignoranza e presunzione! Altre pernacchie, ancora più sonore e beffarde delle prime. - Cosa credete, di farmi tacere con le vostre minacce pernacchiose...volevo dire, con le vostre pernacchie minacciose? Non sarete voi a impedirmi di proclamare la verità! Io so che le stelle comete sono degli astri feroci, dei segni del malaugurio, dei sinistri presagi! Per chi non avesse capito, intendo dire che le comete portano male, sfortuna, scalogna, disastri! La Tata e il Poeta Tondo tacquero un attimo, storditi da tutti quei punti esclamativi. Il Profeta, soddisfatto del risultato raggiunto, gonfiò la sua magrissima carcassa e andò avanti. - Le comete sono considerate da secoli segni di sventura! Solo gli ignoranti come voi possono ignorarlo. Terremoti, maremoti, trombe d'aria, carestie, guerre! Ecco cosa ci si può aspettare dal passaggio di questi mostri dalla lunga chioma. Quell'imbecille del Filosofo dovrà imparare a farsi furbo... - Per favore, smettila di strombazzare sciocchezze. Tata, Poeta e Profeta si voltarono di scatto. Ritto sulla soglia, con tutta la sua barba e il suo amore impossibile, c'era lui, il Filosofo. Fece tutto molto in fretta. Spedì fuori dalla porta il Profeta con tutte le sue apocalissi, diede un bacio alla Tata, ignorò il Poeta Tondo, sparì nella sua stanza. Dalla finestra entrava un sole sfacciato come una risata. Era stato un allegro compagno, nei giorni in cui il Filosofo stava nella sua stanza per ore, a scrivere e studiare. Erano stati giorni tranquilli, ma non noiosi, giorni che portavano a serate stanche ma soddisfatte. Da quando era arrivato l’amore i giorni erano diventati lunghi corridoi vuoti, che portavano ad una sera complice. Una sera che era più saporita del cioccolato farcito di cioccolato. Quel giorno triste il Filosofo decise di chiudere le tende, ma prima si ricordò di chiedere scusa: - Mi spiace, vecchio mio, ma sono costretto a chiuderti fuori. Oggi non posso sopportare la tua luce. Il Sole non si offese. Ne aveva già visti tanti di innamorati sghembi! Lui e la sua compagna bianca, le rare volte che riuscivano ad incontrarsi, si divertivano a raccontarsi lunghe storie di innamorati matti. Sorrise e strizzò l'occhio splendente al matto di turno. Il Filosofo accese una candela nel buio della sua stanzetta. Faceva finta che la luce della candela fosse la luce di stelle e galassie lontanissime. E poi disegnava Stellaspina, con pastelli chiari su fogli di carta nera. Quei disegni avevano gli occhi stellanti. Che nostalgia! Il Filosofo guardò l'orologio. In media, da quando si era innamorato, guardava l'orologio circa venti volte al minuto. Accidenti! Erano ancora le 4, 37 del pomeriggio. Quanti minuti mancavano al buio? Il Filosofo si mise a contare sulla punta delle dita. Infine si rese conto di ciò che stava facendo. - Mi sto rimbambendo - pensò. - Sembra completamente rimbambito - sussurrò il Poeta Tondo alla Tata, dopo aver allontanato l’occhio sinistro dal buco della serratura. Era lì da circa mezz'ora, a spiare il Filosofo. La Tata era molto preoccupata. - Non si è mai visto un Filosofo chiudersi in una stanza buia a contarsi le dita e a disegnare con i pastelli. I filosofi seri leggono, scrivono e pensano, guardano l'infinito. Oppure se ne vanno in giro con il naso per aria a guardare le stelle e poi cadono dentro ai tombini. Il mio Filosofo, invece, riuscirebbe a camminare sopra un tombino spalancato. È talmente rimbecillito da dimenticarsi perfino la legge di gravità. La Tata decise di agire. Convinse il Filosofo a mettere in pratica la sua idea di unire Pasticceria e Poesia alla conquista di Stellaspina. Decisero di agire al più presto. La sera successiva, l’arte della Tata sfornò meraviglie. Sulla tavola presero posto budini a forma di zucca, zucche candite a forma di fiori, gocce di mandorle e petali di rosa che disegnavano ghirigori su torte alla panna, pasticcini alla crema e tante altre prelibatezze da leccarsi la barba. Intorno alla tavola delle delizie sedevano in tre: Tata, Filosofo e Poeta Tondo. Ma non erano lì per mangiare. Il vento primaverile prelevò il profumo di tutti quei capolavori e lo portò lontano. Le rane dello stagno interruppero il loro gracidare per annusare quel vento di ghiottonerie. Le ninfee rimasero aperte a sentire il sapore dell'aria anche oltre il tramonto, quando finalmente uscirono fuori la luna e le prime stelle. Ormai anche Stellaspiva contava impaziente le ore che la separavano dall'appuntamento con il Filosofo. Appena la Terra si girò al punto giusto, la cometa protese la chioma in ascolto. La prima ondata di profumo che la raggiunse sapeva di vaniglia. Stellaspina chiuse gli occhi stellanti per annusare meglio. La vaniglia le fece immaginare una splendida orchidea fiorita. Il dolce al limone le portò l’immagine mai vista prima di un albero dai frutti gialli. Poi arrivò il profumo di cioccolato, che le fece girare la testa… E finalmente arrivò anche la voce del filosofo. Stella cometa, spina fatata, cogli la sera, coglila nera. Anima mia, segui la scia delle parole nutrite di sole. Se sei sincera scappa stasera dal firmamento, fammi contento. Basta girare, basta esitare, corri veloce alla mia voce! Tu sai che cos’è, che mormora in me, vecchio barbuto innamorato. Scendi stasera, mia primavera, dalla Gallina alla collina. Spina cometa, stella di seta, splendida chioma, cuore di crema! Anima mia, scivola via lungo china goccia di brina… - Quasi quasi - pensò - se solo riuscissi a fregare la Gallina... Roarr! Un rumore di uomini in lite interruppe quel pensiero birichino. La cometa sentì un miscuglio di urla incomprensibili, bicchieri frantumati, piatti rotti. Che cosa diavolo stava accadendo, là sotto? Là sotto il Profeta era sbucato fuori dal buio, e non era solo. Lo accompagnavano quattro facce che non promettevano nulla di buono. Delle quattro facce tre appartenevano a tre infermieri muscolosi, pelosi e golosi. La quarta faccia invece, occhialuta e compiaciuta, apparteneva al dottor Psicocoso, poco muscoloso ma in compenso assai goloso anche lui. Iniziò a parlare lo Psicocoso: dichiarò che erano venuti per portare il Filosofo e il Poeta in manicomio. Poi fu il turno del Profeta, che saltò direttamente sulla tavola. Per sbaglio infilò un piede dentro ad una torta alla ricotta, ma non per questo si scompose. - Noi siamo venuti qui per fare giustizia! Basta con i Filosofi matti e i Poeti tondi! Tutti in manicomio, e noi ci mangiamo i dolci! Bisogna essere matti per innamorarsi delle comete, e anche per scriverci sopra delle poesie! Noi, che siamo normali hanno paura delle comete! Noi, persone serie, oneste e intelligenti, non ci innamoriamo degli astri! Noi ci innamoriamo di cantanti, attrici e top model! Noi non guardiamo il cielo e le stelle! Noi leggiamo gli oroscopi sui giornali! Noi sappiamo che poesia e filosofia non sono cose serie! Noi ci interessiamo di soldi, di calcio, di giochi a premi e di pettegolezzi! Il Filosofo, che era molto robusto per essere un filosofo, tirò giù il Profeta dalla tavola con una manata. - Profeta - gli disse – non mi ripeterò due volte. Prenditi gli infermieri, lo Psicocoso, i punti esclamativi, e vattene. Questa volta il Profeta non se ne andò. Per farsi coraggio, oltre a portarsi la scorta di infermieri aveva guardato tre film di guerra in televisione. - No, non ce ne andiamo! Siamo venuti qui per prendervi e portarvi in manicomio, e lo faremo! Non riuscirete a mandarci via, la nostra missione è troppo importante! E poi noi siamo in cinque, di cui tre molto grossi! Voi invece siete in tre, tra cui una piccola Tata. - Volete portare in manicomio anche me? – domandò la Tata facendo scintillare i suoi denti bianchi. - Certo che no - disse lo Psicocoso goloso - basta che fai la brava e t’impegni a preparare dolci soltanto per noi. - Per voi cucinerò soltanto minestre di gramigna! - Il tuo comportamento - intervenne il Dottor Psicocoso - è il sintomo di una gravissima sociopatia. Quindi vi porteremo tutti e tre in manicomio, vi legheremo ai letti come salami, vi nutriremo di medicine e vi obbligheremo a guardare la televisione tutto il giorno. E guai, dico guai, se conciati così oserete ancora dare fastidio. I tre candidati al manicomio si guardarono un attimo negli occhi. Poi guardarono le cinque facce cattive. Poi guardarono le torte. In un batter d'occhio pasticcini, creme, budini e torte presero il volo verso i cattivi, sommergendoli in una nuvola vanigliata. La battaglia fu furiosa, cremosa e senza esclusione di colpi. Alla fine rimasero sul campo solo la Tata, il Poeta Tondo e un bel pasticcio spiaccicato di squisita pasticceria. Lo Psicocoso, poco psico e molto goloso, era scomparso. Aveva approfittato della confusione per nascondersi da qualche parte con i tre infermieri e le dolcezze che erano riusciti ad arraffare. Il Profeta, abbandonato dagli altri cattivi e bersagliato dai pasticcini, aveva deciso che era meglio ritirarsi con disonore. Da allora, nessuno lo vide più in giro per molto tempo. - Combattere per amore, che spreco di zucchero... - disse tristemente il Poeta Tondo, contemplando la fine gloriosa ma sprecata dei dolci. - A proposito di amore - disse la Tata, gocciolante di budino ai frutti di bosco - dov'è finito il Filosofo innamorato? Nemmeno il Filosofo riusciva a capire dove diavolo fosse finito. Ricordava che proprio sul più bello della battaglia a torte in faccia, proprio quando aveva centrato il Profeta con un babà al rum, era rimasto accecato da una grande luce. Poi gli era sembrato di salire su su in alto in alto, come se avesse preso un ascensore velocissimo. Alla fine della salita si era sentito esplodere dalla felicità: gli sembrava di essere diventato una grande luce. Forse era diventato matto davvero, ed era arrivato al paradiso dei matti. - Ciao Filosofo, come ti senti? - gli domandò Stellaspina. Era lì, vicino a lui, con la chioma scintillante e gli occhi stellanti. - Stellaspina... - fu tutto quel che riuscì a dire. - Sei ancora debole, ma presto ti sentirai meglio. Devi ancora abituarti alla tua nuova vita di stella cometa. Il Filosofo la trovò più bella vista da vicino. Non pensò alla casa che aveva lasciato, alla palude, ai suoi libri e alla sua filosofia. Non pensò nemmeno alla Tata e alle sue ghiottonerie. Pensò soltanto che era arrivato vicino alla sua Stellaspina, e che non aveva nessuna voglia di tornare sulla terra. - La Gallina...cioè il Firmamento, all'inizio era davvero arrabbiato con noi. Pensava che davvero volessimo farlo fesso, come nella poesia del Poeta Tondo. In realtà era solo uno scherzo, vero? - disse Stellaspina, strizzando l'occhio - Chi può essere tanto scemo da voler fregare l’Universo? Lui comprende tutto, sa tutto e vede tutto, anche se è sempre immobile. Quando ha visto la vostra battaglia a torte in faccia si è impietosito. Tutte quelle ghiottonerie sprecate! E tutto quell'amore sprecato! Allora ha deciso di fare un piccolo sortilegio. Ti ha tirato su e ti ha trasformato in cometa. Adesso ci terremo per mano e faremo un bel viaggetto tra lune, soli e galassie... La Tata e il Poeta Tondo cercarono il Filosofo dappertutto. Guardarono nel suo studio, in cantina, perfino tra le rane della palude. A parte un rospo barbuto, non videro niente che assomigliasse ad un Filosofo. Tornò il buio. La Tata e il Poeta Tondo si erano seduti in terrazzo, senza dolci e senza appetito. Non c'erano nuvole, della luna si vedeva solo la falce, e il cielo nero grondava di stelle. Quando la cometa si fece vedere, la Tata le gettò un'occhiata velenosa. - Se potessi sentirmi, stupida cometa, ti chiederei dov'è finito il Filosofo. Scommetto che tu lo sai. Il Poeta sospirò. - Purtroppo Stellaspina parla solo con il Filosofo. Ma… stasera mi sembra diversa dal solito. Il Poeta Tondo rotolò via veloce e afferrò il cannocchiale del il Filosofo e lo puntò verso la cometa. - Guarda Tata! Sembra che vicino a Stellaspina ci sia un'altra cometa con un’aria familiare. Guarda! Secondo te a chi somiglia? La Tata prese il cannocchiale, ma siccome era miope vide soltanto luci scintille. Però quando tolse l'occhio dal cannocchiale vide qualcosa di veramente interessante: un aereoplano di carta che volava verso di loro. Lo prese al volo. Il Poeta Tondo e la Tata aprirono il foglio di carta. Dentro c’era un disegno a pastelli, che raffigurava Stellaspina e il Filosofo. Lui e lei, tutti e due stellanti, si tenevano per mano sul fondo nero macchiato di puntini bianchi. 11